LA CORTE DEI CONTI 
           Sezione giurisdizionale regionale per le Marche 
 
    Nella persona del Giudice unico nella materia pensionistica Cons.
Giuseppe De Rosa ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso
iscritto al n. 21796/PC del registro di Segreteria presentato  il  17
aprile 2015 dal sig. De Benedictis Domenico, nato a Valle  Castellana
(TE) il 29 settembre 1949 e residente ad Ascoli Piceno  (AP)  in  via
delle Zinnie n. 19/B, nei confronti dell'INPS, per il  riconoscimento
di un piu' favorevole trattamento pensionistico; 
    Udito, nella pubblica udienza del  29  gennaio  2016,  l'avvocato
Italo Pierdominici, per l'INPS; presente il ricorrente; 
    Visti gli altri atti e documenti tutti di causa. 
 
                                Fatto 
 
    Con il  ricorso  all'esame,  il  ricorrente  -  ex  dirigente  di
Trenitalia S.p.a. cessato  dal  servizio  il  25  febbraio  2011  con
diritto a trattamento pensionistico erogato dalla specifica  gestione
- censurava che nel  prospetto  di  calcolo  della  propria  pensione
erroneamente l'Istituto previdenziale aveva: 
        scorporato dall'ultimo stipendio percepito l'importo relativo
alla soppressa voce  retributiva  "indennita'  integrativa  speciale"
(nel prosieguo: i.i.s.), per poi applicare la maggiorazione  del  18%
ex art. 22 della legge n. 177 del 1976 sulla parte residua; 
        del pari, scorporato dall'"Assegno personale  pensionabile  -
ex Premio di Esercizio" - o 14ª mensilita' - l'importo relativo  alla
soppressa voce retributiva "Superminimo  individuale"  (pari  a  euro
1.139,71), per poi applicare la maggiorazione  del  18%  ex  art.  22
della legge n. 177 del 1976 sulla parte residua. 
    Risultava dagli atti che: 
        con raccomandata del 29 ottobre 2012 l'interessato  domandava
all'INPS  di   Teramo   di   rettificare   il   proprio   trattamento
pensionistico con la determinazione della base pensionabile  mediante
maggiorazione dell'intero Trattamento retributivo individuale  ("TEI)
ivi incluso l'importo equivalente a quello dell'ex  voce  "i.i.s."  e
dell'intero importo dell'"Assegno personale pensionabile - Ex  premio
di  esercizio"  comprensivo  dell'ammontare  relativo  alla  ex  voce
retributiva "superminimo individuale"; 
        in   mancanza   di   risposta   alla   predetta    richiesta,
l'interessato proponeva in data 4 giugno  2013  ricorso  al  Comitato
amministratore  del  Fondo  dipendenti  delle  Ferrovie  dello  Stato
(asserito senza risposta e, pertanto, tacitamente rigettato). 
    Nella  sede  giurisdizionale,  in  particolare,   il   pensionato
sosteneva che: 
        l'art. 22 della legge n. 177 del 1976 esprimeva un  principio
di tassativita' per quanto concernente l'incrementabilita' del 18% ai
fini pensionistici degli emolumenti diversi  dallo  stipendio  (rif.:
"assegni e indennita'")  percepiti  dal  personale  ferroviario  gia'
iscritto al Fondo pensioni, ma "ovviamente"  la  norma  salvaguardava
l'integrale applicabilita' della maggiorazione del 18% allo stipendio
o stipendio tabellare in godimento al momento  della  cessazione  del
servizio, rispetto al quale non poneva limitazione alcuna; 
        il "T.E.I.", del quale il ricorrente era  in  godimento  alla
data di cessazione del servizio, aveva natura sicuramente stipendiale
e costituiva - al di la' della denominazione meramente formale  -  lo
"stipendio tabellare"  ovvero  "stipendio"  riguardato  dall'art.  22
della legge n. 177 del 1976, ove si fosse considerato che  lo  stesso
rappresentava il solo e unico corrispettivo  sinallagmatico  pertanto
fondamentale ed esclusivo previsto dal C.C.N.L. di categoria  per  la
prestazione dedotta nel rapporto di lavoro; 
        detta  retribuzione  fissa,   continuativa,   predeterminata,
ordinaria e periodica integrava quindi gli estremi della  fattispecie
dello "stipendio" in senso stretto, di cui all'art. 220  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato  da
ultimo dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976; 
        lo  stesso  INPS,  in  sede  di  determinazione  della   base
pensionabile, aveva considerato il "T.E.I." in godimento alla data di
cessazione del servizio come l'"ultimo  stipendio"  come  evidenziato
nei prospetti allegati al ricorso stesso; 
        illegittimamente, dunque, l'Istituto  aveva  sottratto  dallo
"stipendio tabellare" (vale a dire il "T.E.I") l'importo  mensile  di
euro 745,76 pari alla voce  retributiva  soppressa  dell'ex  "i.i.s."
(del quale il ricorrente era in godimento prima dell'applicazione del
CCNL  dei  dirigenti  industriali  del  30  ottobre  1998),  per  poi
effettuare  la   rivalutazione   del   18%   sulla   parte   residua;
dall'avvenuto conglobamento dell'i.i.s. nello stipendio tabellare, di
cui  l'indennita'  era  divenuta  parte  integrante,  sostanziale   e
inscindibile,  non  poteva   che   conseguire   anche   la   relativa
maggiorazione del 18% nell'ambito della base pensionabile; 
        da quanto esposto non  poteva  che  derivare  la  perdita  di
qualsiasi rilevanza ed efficacia  giuridica  di  norme  pregresse  in
ordine alla preclusione della  maggiorazione  del  18%  della  i.i.s.
(art. 15, legge n. 724 del 1994), in quanto fondate  sul  presupposto
dell'autonomia di una voce retributiva cancellata dall'ordinamento  e
il cui importo era divenuto a  tutti  gli  effetti  parte  integrante
dello "stipendio"; tanto piu', si  affermava,  che  Trenitalia  aveva
applicato  le  trattenute  previdenziali  sull'intero   importo   del
"T.E.I." maggiorato del 18% comprensivo, dunque, della quota parte di
esso afferente alla ex "i.i.s."; 
        con la domanda di  ricorso,  pertanto,  non  si  chiedeva  la
maggiorazione del 18%  dell'i.i.s.,  bensi'  l'esatta  determinazione
dello stipendio tabellare ("T.E.I.") da assoggettare  alle  modalita'
di computo previste dall'art. 220 del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 1092 del 1973; 
        la soluzione prospettata nel gravame risultava in  linea  con
la plurima giurisprudenza della Corte dei  conti  (rif.:  Sezione  di
controllo sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato,
n. 2 del 24 marzo 2004; Sezioni giurisdizionali Puglia,  sentenza  n.
454 del 2014; Marche, sentenze n. 66 del 2012  e  n.  380  del  2008;
Sezioni riunite Sicilia, sentenza n. 46 del 2010;  Liguria,  sentenza
n. 771 del 2007; Emilia Romagna, sentenza n. 946 del 2007); 
        la predetta soluzione trovava ulteriore conferma nella  "Nota
a verbale" riportata in calce all'art. 63 del  CCNL  delle  Attivita'
ferroviarie del 16 aprile 2003, vigente al momento  della  cessazione
del ricorrente e applicabile  a  tutto  il  personale  con  qualifica
diversa da quella di dirigente di Trenitalia S.p.a.,  a  mente  della
quale: "Le parti confermano che le voci retributive di cui  al  punto
1.1. e al p. 6  del  presente  articolo  (n.d.r.:  i  cc.dd.  "Minimi
contrattuali" comprensivi dell'ex indennita'  di  contingenza  ovvero
dell'indennita' integrativa speciale ex  legge  n.  324  del  1959  e
successive modificazioni nonche' dell'E.D.R.  di  cui  al  Protocollo
interconfederale del 31 luglio 1992) sono elemento dello  "stipendio"
ai sensi di quanto previsto dall'art. 220 del T.U. n. 1092 del  1973,
come sostituito dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976 e successive
modifiche e integrazioni; tale  contenuto  dispositivo  si  affermava
applicabile ai dirigenti per l'effetto dell'ellittico rinvio  operato
dall'art. 27 del CCNL dirigenti d'azienda; 
        le voci retributive precedentemente godute dal personale  poi
conglobate nello stipendio, tra cui l'i.i.s.,  avevano  generato  una
eccedenza di retribuzione che le parti stipulanti avevano ritenuto di
salvaguardare come  "Assegno  personale  pensionabile"  (A.P.P.)  non
riassorbibile denominato "Elemento retributivo individuale"  (E.R.I.)
(rif.. art. 63 del CCNL del 16 aprile 2003 e art.  28  del  Contratto
aziendale del Gruppo  SF  e  Accordo  di  confluenza  al  CCNL  delle
attivita' Ferroviarie del 16 aprile 2003); 
        considerazioni analoghe a quelle  svolte  per  l'ex  "i.i.s."
valevano  per  lo  scomputo  della  somma  corrispondente  alla  voce
retributiva soppressa "Superminimo individuale" (anch'essa  non  piu'
riportata nei cedolini stipendiali identicamente alla ex per  effetto
della modifica apportata dalle parti stipulanti alle  clausole  della
contrattazione collettiva con decorrenza 1°  gennaio  2005,  la  voce
"Superminimo", che non concorreva alla determinazione dell'  "Assegno
pensionabile - ex premio di esercizio" ex accordo del 30 ottobre 1998
era stata soppressa e il relativo importo  era  stato  conglobato  in
quello dello stipendio tabellare ("T.E.I.") il quale,  come  gia'  il
"Minimo contrattuale base",  concorreva  e  -  ora  come  "T.E.I."  -
continuava  a  concorrere  alla  determinazione  di  detto   "Assegno
pensionabile - ex premio di esercizio", con esso anzi identificandosi
e  coincidendo  in  tutto  e  per  tutti  i  relativi  effetti;  tale
disposizione rimaneva immutata a seguito del rinnovo del C.C.N.L. dei
dirigenti d'azienda del 25 novembre 2009, ex art. 3, comma  6,  dello
stesso C.C.N.L., vigente al momento della cessazione del servizio del
ricorrente;  ("Assegno  personale  pensionabile  -   ex   premio   di
esercizio"  o  14^  mensilita',  pertanto,  era  pari   al   "T.E.I."
maggiorato del 20% ex accordo del 30 ottobre 1998,  a  sua  volta  da
incrementare del 18% ai sensi dell'art. 22 della  legge  n.  177  del
1976. 
    Nel gravame si concludeva: 
        per la dichiarazione del diritto  alla  determinazione  della
base pensionabile con maggiorazione del 18% ex art.  22  della  legge
n.  177 del 1976 dello stipendio tabellare ("T.E.I."), senza scorporo
dell'importo afferente la soppressa "i.i.s."; 
        per la dichiarazione del diritto al  computo  dell'  "Assegno
personale pensionabile - ex premio di  esercizio"  o  quattordicesima
mensilita' (pari al "T.E.I." maggiorato del 20%), da maggiorarsi  del
18% in base pensionabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976,  senza  scorporo  dell'importo  afferente  la  soppressa   voce
retributiva "Superminimo individuale"; 
        per la condanna dell'INPS alla corresponsione della  pensione
come sopra rideterminata e adeguata, con  pagamento  degli  arretrati
pari alla  differenza  tra  il  dovuto  e  il  corrisposto,  oltre  a
interessi  e   rivalutazione   monetaria   come   per   legge,   sino
all'effettivo soddisfo. 
    Con memoria depositata il 6 ottobre 2015 si costituiva l'Istituto
previdenziale eccependo ovvero rappresentando quanto segue: 
        la  componente  retributiva  denominata  "Assegno   personale
pensionabile"   veniva   regolarmente   inclusa   nelle    competenze
assoggettate all'incremento del 18%; 
        quanto all'"i.i.s." la  posizione  del  ricorrente  in  nulla
differiva da quella degli altri dipendenti delle Ferrovie dello Stato
(dirigenti e non); 
        per i dirigenti di Ferrovie dello Stato S.p.a. dal 1° gennaio
2005 ai sensi del C.C.N.L.  2004/2008  la  base  imponibile  ai  fini
previdenziali risultava costituita dal T.E.I. ("Trattamento economico
individuale") del tutto assimilabile alla voce  "stipendio"  indicata
dall'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del
1973; 
        l'"i.i.s." amministrativamente andava scorporata  dalla  voce
"stipendio" ai fini dell'aumento del 18% e aggiunta, poi, senza  tale
aumento al prodotto ottenuto nella formazione della  base  imponibile
con modalita' indicate nella direttiva INPS n. 29763 del  7  novembre
2006 e nella disposizione n. 0060034 del 13 marzo 2009; 
        il ricorrente erroneamente  riteneva  che  le  parti  private
potevano disporre di risorse pubbliche determinando la  misura  delle
prestazioni  previdenziali,  diversamente  innescandosi   illegittimi
costi indiretti; in proposito si affermava necessaria  una  specifica
previsione normativa per l'inclusione  d'una  componente  retributiva
nella base pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%; 
        ai sensi dell'art.  63  del  C.C.N.L.  del  1°  agosto  2003,
cessava - a far data  1°  settembre  2003  -  d'essere  erogata  come
distinta componente retributiva; 
        la  domanda  giurisdizionale  e  la  relativa  prospettazione
ponevano   la   questione   della   determinazione    dell'imponibile
contributivo ai fini della misura della prestazione; 
        con numerose pronunce la Sezione seconda centrale della Corte
dei conti aveva chiarito quali componenti  retributive,  pur  essendo
computabili  in  pensione,  non  fossero   tuttavia   soggette   alla
maggiorazione del 18% (rif.: sentenze nn.  314,  315  e  317  del  18
novembre 2003 e  n.  336  del  25  novembre  2003);  analogamente  si
sosteneva avessero chiarito le sentenze n. 189 del 2011 e n. 114  del
2012 di questa Sezione giurisdizionale;  pertanto,  la  maggiorazione
del  18%  poteva  ritenersi  applicabile  ai   casi   tipizzati   dal
legislatore negli articoli 15 e 22 della legge n. 177 del  1976;  per
il  personale  ferroviario  analogamente  disponeva  l'art.  220  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973; 
        insuperabile risultava il precetto di cui all'art. 15,  commi
1 e 3, della legge n.  724  del  1994;  se,  dunque,  l'art.  63  del
C.C.N.L.  e  il  C.C.N.L.  dirigenti  personale  ferroviario  avevano
conglobato  l'i.i.s.  nel  minimo   contrattuale,   con   la   stessa
implicazione sul piano del  sinallagma  che  dalle  date  della  loro
efficacia l'indennita' cessava di costituire componente distinta, non
per questo ai fini  pensionistici  l'importo  relativo  non  diveniva
enucleabile  per  la  individuazione  di  quelli  cui  si   applicava
l'incremento del 18%, posto che le disposizioni previdenziali non  si
configuravano suscettibili di condizionamento su accordo delle parti. 
    Nella memoria, l'Istituto previdenziale concludeva: 
        per il rigetto comunque  del  ricorso  perche'  infondato  in
fatto e in diritto o, per quanto di ragione occorrendo previa  C.T.U.
contabile. 
    Con sentenza non definitiva n. 8 del 23 febbraio 2016  di  questa
Sezione giurisdizionale veniva accolta, nel  merito,  la  domanda  di
valorizzazione,  ai  fini  della  maggiorazione  del   18%   prevista
dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, della ex  voce  retributiva
"Superminimo individuale" (percepita nell'importo di  euro  1.139,71)
nella misura in cui effettivamente confluita nell'"Assegno  personale
pensionabile - ex premio di esercizio". 
    Relativamente all'ulteriore domanda di ricorso, vale  a  dire  la
richiesta concernente la maggiorazione ex art. 220  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 dell'intero "stipendio",
comprensivo  quindi  della  ex  voce  retributiva   "i.i.s.",   nella
decisione  precitata  si  rinviava  a  separata  ordinanza   per   la
sospensione del giudizio e per la rimessione degli  atti  alla  Corte
costituzionale  con   riferimento   a   questioni   di   legittimita'
costituzionale, d'ufficio sollevate,  dell'art.  220,  comma  1,  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  1092  del  1973  come
modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976,  per  ipotizzata
violazione degli articoli 3, 36 e 38 Cost. 
 
                               Diritto 
 
    1. Il giudizio introdotto col ricorso all'esame, per la parte non
ancora definita a seguito della sentenza n. 8 del 23 febbraio 2016 di
questa  Sezione  giurisdizionale,  ha  fondamentalmente   a   oggetto
l'esatta commisurazione della pensione del ricorrente - ex  dirigente
di Trenitalia S.p.a. collocato in quiescenza il 26 febbraio 2011  con
diritto  a  trattamento  pensionistico,  erogato  nell'ambito   della
specifica  gestione  previdenziale,  da  determinarsi   col   sistema
retributivo ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo n. 503  del
1992 - in relazione all'applicabilita', o meno,  della  maggiorazione
del 18% ex art. 220 (base pensionabile) del  decreto  del  Presidente
della  Repubblica  n.  1092  del  1973  alla  ex   voce   retributiva
"indennita'   integrativa   speciale"   confluita   nel   trattamento
stipendiale. 
    Dispone la predetta normativa, a seguito delle  modifiche  recate
dall'art.  22  della  legge  n.  177  del  1976:   "Ai   fini   della
determinazione della  misura  del  trattamento  di  quiescenza  degli
iscritti  al  Fondo  pensioni,  la  base   pensionabile,   costituita
dall'ultimo stipendio  e  dagli  assegni  o  indennita'  pensionabili
sottoindicati, integralmente  percepiti,  e'  aumentata  del  18  per
cento: 
        a) indennita' di funzione per i dirigenti superiori e  per  i
primi dirigenti prevista dall'art.  47  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748; 
        b) indennita' pensionabile prevista dalla legge  16  febbraio
1974, n. 57; 
        c) assegno personale pensionabile. 
    Per gli effetti del precedente comma si considerano soltanto  gli
assegni o indennita' previsti come utili ai fini della determinazione
della base pensionabile, da disposizioni di legge. 
    Degli assegni personali di cui al comma precedente non concorre a
determinare  la  misura  della   base   pensionabile   il   «compenso
combattenti». Detto compenso e'  liquidato  in  valore  capitale,  da
determinare moltiplicando per quindici l'importo annuo  del  compenso
stesso per le cessazioni dal servizio decorrenti dal 1° luglio 1973 e
per dieci nei casi  di  cessazione  dal  servizio  anteriori  a  tale
data.". 
    In sostanza, con riferimento alla disposizione all'esame, siccome
costantemente e univocamente interpretata dalla giurisprudenza  delle
Sezioni d'appello della Corte dei conti (cfr.  infra,  capo  3.),  il
ricorrente non avrebbe diritto alla maggiorazione del 18% dell'intero
e ultimo stipendio percepito (al 25 febbraio  2011)  nell'ambito  del
relativo rapporto di lavoro (ai fini della determinazione della  c.d.
quota A di pensione, ai sensi dell'art. 13, lettera  a)  del  decreto
legislativo n. 503 del 1993), bensi' unicamente dell'incremento della
parte  di  stipendio  al  netto   dell'importo   dell'ex   indennita'
integrativa speciale, confluita nello stipendio medesimo a  far  data
1° gennaio 2003 (rif.: art. 63 del C.C.N.L. per i lavoratori  addetti
al  settore  delle   attivita'   ferroviarie   e   servizi   connessi
sottoscritto  il  16  aprile  2003);  per  l'effetto  detta  ex  voce
retributiva  riverberando  sulla   determinazione   del   trattamento
pensionistico, nonostante ormai soppressa per espressa volonta' delle
parti contraenti stabilenti la  disciplina,  anche  economica,  dello
specifico rapporto di lavoro. 
    Recita  in  proposito  l'articolo  art.  63  (Retribuzione)   del
C.C.N.L. del 16 aprile 2003: 
    "1. Elementi della retribuzione. 
    1.1. Sono elementi della retribuzione: 
        a) minimo contrattuale,  di  cui  al  punto  4  del  presente
articolo; 
        b) aumenti periodici di anzianita'; 
        c) assegni ad personam pensionabili di cui  al  punto  5  del
presente articolo. 
    1.2. Sono elementi ulteriori della retribuzione: 
        a) tredicesima mensilita'; 
        b) quattordicesima mensilita'; 
        (...). 
    4. Minimi contrattuali. 
    In relazione  a  quanto  previsto  dall'art  21  (classificazione
professionale)  del  presente  CCNL,  i  valori  minimi  contrattuali
mensili, con le rispettive decorrenze, sono i seguenti: 
        4.1. A decorrere dal 1° gennaio 2003: (...); 
        4.2. A decorrere dal 1° settembre 2003: (...); 
        4.3. A decorrere dal 1° luglio 2004: (...). 
    4.4. Gli importi  dei  minimi  contrattuali  di  cui  sopra  sono
comprensivi dell'ex indennita' di contingenza (ovvero dell'indennita'
integrativa speciale ex legge n. 324/1959 e successive  modifiche  ed
integrazioni),   nonche'   dell'E.D.R.   di   cui    al    Protocollo
interconfederale del 31 luglio 1992. 
    (...).". 
    Ha quindi previsto il Contratto collettivo  nazionale  di  lavoro
dei dirigenti delle Aziende industriali per il periodo dal 1° gennaio
2004 al 31 dicembre 2008 (applicato ai dirigenti delle Ferrovie dello
Stato a  seguito  della  privatizzazione  del  relativo  rapporto  di
lavoro), al punto 6. dell'art. 3 (Trattamento minimo  complessivo  di
garanzia): 
    "Il trattamento economico annuo lordo complessivamente  spettante
al dirigente, continuera' ad essere  erogato  in  tredici  mensilita'
ovvero nel maggior numero di mensilita' aziendalmente previsto. 
    A far data dal  1°  gennaio  2005,  le  voci  che  compongono  la
retribuzione continueranno ad avere  le  attuali  descrizioni  tranne
quelle riferite a: 
        minimo contrattuale comprensivo del meccanismo di  variazione
automatica; 
        ex elemento di maggiorazione; 
        aumenti di anzianita'; 
        superminimi e/o sovraminimi e/o assegni "ad personam"; 
        che saranno riunite in un'unica voce denominata  "trattamento
economico individuale (T.E.I.). 
    (...).". 
    Ordunque, sulla base di quanto appena  esposto  consegue  che  il
"minimo contrattuale" - nel quale, nell'anno 2003, e' indistintamente
confluito l'importo della "ex" "indennita' integrativa speciale" - e'
a sua volta confluito, nell'anno 2005 e sempre  indistintamente,  nel
"Trattamento   economico   individuale",   costituente   la   normale
retribuzione ovverosia lo "stipendio" del  dirigente  delle  Ferrovie
dello Stato. 
    Sul piano applicativo, quanto sopra rappresentato trova riscontro
nell'ambito dei cedolini stipendiali del ricorrente (allegati nn.  7,
8 e 9 al  ricorso  giurisdizionale,  nei  quali  non  risulta  alcuna
evidenziazione  dell'ex  voce  retributiva  "indennita'   integrativa
speciale"): 
        "Stipendio di novembre 2004" (data valuta 25 novembre  2004):
retribuzione mensile pari a  euro  6.051,17  cosi'  composta  (minimo
contrattuale base pari a euro 3.436,54 + aumenti  anzianita'  pari  a
euro 516,45 + diff. 24mi maturati pari a euro 34,66 + E.D.R.  pari  a
euro 923,81 + superminimo individuale pari a euro 1.139,71); 
        "Stipendio di gennaio 2011" (data valuta  27  gennaio  2011):
trattamento economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50; 
        "Stipendio di febbraio 2011" (data valuta 25 febbraio  2011):
trattamento economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50. 
    2. Va precisato che la pensione in argomento e' stata determinata
in base al sistema "retributivo" (quota A e quota B)  sulla  base  di
anni 9, mesi 9 (aliquota di pensione massima,  pari  all'80%)  a  far
data febbraio 2011; nei casi di specie, i  trattamenti  pensionistici
sono liquidati a mente dell'art. 1, comma 13, della legge  n.  335  d
1995 riguardante coloro  che,  come  il  ricorrente,  alla  data  del
gennaio 1995 possedevano un'anzianita' contributiva non inferiore  ai
diciotto anni (nel caso: anni 24 mesi 8). 
    Come e' noto, ai fini del predetto calcolo va considerato  l'art.
13 del decreto legislativo n. 503 del 1992 statuente quanto segue: 
    "1.  Per  i  lavoratori  dipendenti  iscritti   all'assicurazione
generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti
ed alle  fon  sostitutive  ed  esclusive  della  medesima,  e  per  i
lavoratori autonomi  iscritti  alle  gestioni  speciali  amministrate
dall'INPS, l'importo della pensione e' determinato dalla somma: 
        a)  della  quota  di  pensione   corrispondente   all'importo
relativo a anzianita'  contributive  acquisite  anteriormente  al  1°
gennaio 1993 calcolato con riferimento alla data di decorrenza  della
pensione secondo  la  normativa  vigente  precedentemente  alla  data
anzidetta che a tal fine resta confermata in via  transitoria,  anche
per quanto concerne il periodo di riferimento per  la  determinazione
della retribuzione pensionabile; 
        b) della quota  di  pensione  corrispondente  al  trattamento
pensionistico  relativo  alle  anzianita'  contributive  acquisite  a
decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di  cui  al
presente decreto.". 
    La quota A viene  calcolata  con  riferimento  alla  retribuzione
spettante  all'atto  del  collocamento  a  riposo  ed  all'anzianita'
maturata  al  31  dicembre  1992  e  viene   determinata   applicando
l'aliquota  corrispondente  all'anzianita'  maturata  a  quella  data
(articoli 43 e 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del    1973,    relativamente     all'ex     personale     dipendente
dell'Amministrazione dello Stato; articoli 220, 221 e  222  per  l'ex
personale della Azienda autonoma» delle Ferrovie  dello  Stato)  alla
retribuzione goduta dal dipendente alla  cessazione  (maggiorata  del
18% ai sensi dell'art. 15 della legge  n.  177  dei  1976,  per  l'ex
personale  dipendente,dall'Amministrazione  dello  Stato,  ovvero  ai
sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del  1976  per  l'ex  personale
della "Azienda autonoma" delle Ferrovie dello Stato). 
    La quota B e' determinata sulla base della media retributiva  dei
restanti anni di servizio, alla quale viene applicata  la  differenza
tra  l'aliquota  corrispondente  all'anzianita'   totale   e   quella
utilizzata per il calcolo della quota A. 
    La c.d. quota A di pensione, nel caso all'esame, e'  disciplinata
dall'articolo 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del 1973, come sostituito dall'art. 22 della legge n.  177  del  1976
(cfr. il testo riportato supra). 
    In proposito, la consolidata giurisprudenza di questa  Corte  dei
conti  ha  sempre  distinto,   in   punto   di   applicazione   della
maggiorazione di che trattasi, tra  "trattamento  stipendiale",  come
tale assoggettabile all'incremento del  18%,  e  le  "ulteriori  voci
retributive" non computabili a fini di maggiorazione se non nei  casi
espressamente  preveduti  dalla  legge  (ancorche'  concernenti  voci
pensionabili, pertanto valutabili ai fini  pensionistici  nella  c.d.
quota A di pensione). 
    Sulla  base  del  carattere  di  specialita'  degli   ordinamenti
pensionistici, e' stata quindi costantemente sostenuta l'infondatezza
della tesi individuante nella  fonte  contrattuale  disciplinante  il
rapporto di pubblico impiego - e non nella normativa pensionistica  -
il parametro sulla cui base classificare  ai  fini  previdenziali  un
dato  emolumento  retributivo  (recte:   elemento   retributivo   non
stipendiale). 
    A detto criterio chiarisce questo Giudice  di  doversi  attenere,
cio'  nonostante  pervenendo   alla   formulazione   dei   dubbi   di
legittimita' costituzionale di successiva motivazione. 
    3. Afferma sostanzialmente l'univoca  giurisprudenza  di  appello
della Corte dei conti - con riferimento sia all'art. 43 sia  all'art.
220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092  del  1973  -
quanto segue: 
    "(...)   Nella   fattispecie   in   giudizio,    relativa    alla
determinazione della prima delle due suddette quote, va rappresentato
che la "quota A" di pensione va  determinata  in  applicazione  della
normativa previgente al 1° gennaio 1993 e dunque dagli articoli 43  e
220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973,  nel  testo
sostituito dall'art. 15 della legge n. 177/1976. In particolare,  per
le pensioni dei ferrovieri - quale  quella  all'esame  -  l'art.  220
decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.   1092/1973   recita
espressamente:   (...)   Il   surriportato   articolo   indica,   con
enumerazione   tassativa,   gli   elementi   costituenti   la    base
pensionabile,  disponendo  altresi'  che  nessun  altro   assegno   o
indennita' puo' essere considerato a tali fini,  in  difetto  di  una
disposizione di legge che ne  preveda  espressamente  la  valutazione
nella base pensionabile. 
    Tanto  premesso,  anzitutto,  esula  del  tutto  da  tale  elenco
tassativo l'indennita' integrativa speciale  che,  dunque,  non  puo'
essere maggiorata del 18%, come pretenderebbe l'appellato; ne' rileva
l'avvenuta  commistione  dell'indennita'  integrativa  speciale   nel
minimo contrattuale, per effetto dell'art. 63 CCNL del 2003. 
    In primo luogo va detto che  l'eventuale  valorizzazione  a  fini
pensionistici di una indennita' postula una  espressa  previsione  di
legge, giusta l'ultima parte del 2° comma dell'art. 220  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973; ne consegue che la clausola
del contratto collettivo nazionale di  lavoro  non  puo'  determinare
l'inserimento dell'IIS nella base pensionabile, essendo dirimente  la
sussistenza di una vera e  propria  riserva  di  legge,  sancita  dal
ripetuto  art.  220  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.
1092/1973;  occorre  peraltro   considerare   che   la   disposizione
contrattuale che ha determinato il conglobamento  nella  retribuzione
non puo' avere mutato la natura giuridica della predetta indennita' e
la sua valutabilita' a  fini  previdenziali.  In  altri  termini,  le
disposizioni stabilite dalla normativa previdenziale, ispirate  dalla
necessita' di salvaguardare l'equilibrio  del  sistema  pensionistico
non possono essere derogate o eluse, a seguito di  riclassificazioni,
ovvero  di  mutamenti  di  denominazione  di  determinate   voci   od
emolumenti, operate  dalla  contrattazione  collettiva.  Va  aggiunto
altresi', che la normativa di settore distingue  lo  stipendio  dalla
base pensionabile; sono infatti aumentati del 18% solo  lo  stipendio
con altri assegni pensionabili, ma non l'IIS - anche se  pensionabile
(cfr., ad esempio, giurisprudenza conforme, Corte dei conti, Sez.  I,
n. 305/2013). 
    L'IIS, pur rientrando nella piu' ampia nozione di retribuzione  e
pur essendo ricompresa nella base pensionabile  non  e'  suscettibile
della valorizzazione di che trattasi, che resta  limitata  alle  sole
voci espressamente indicate dalla legge  con  elencazione  tassativa;
ne',  lo  si  ripete,  all'IIS  puo'   essere   riconosciuta   natura
stipendiale: al  contrario,  l'art.  15,  comma  1,  della  legge  n.
724/1994 esclude  espressamente  detta  voce  dall'elenco  di  quelle
assoggettate alla maggiorazione, ai  fini  della  ritenuta  in  conto
entrate del Ministero del tesoro. 
    E' appena il caso di sottolineare che a norma dell'art. 1372,  2°
comma,  c.c.,  il  contratto  produce  effetti  solo  tra  le   parti
contraenti e non puo' vincolare l'Istituto pagatore  delle  pensioni,
odierno appellante, terzo rispetto al contratto collettivo di lavoro,
con  cui  le  parti  hanno  inteso  negozialmente  di  inserire  voci
stipendiali  o  indennita'  nella  base  pensionabile  da   aumentare
figurativamente. 
    Conclusivamente, questo Collegio dispone che la  c.d.  "quota  A"
della pensione  del  sig.  (...),  odierno  appellato,  debba  essere
calcolata secondo i criteri di cui agli articoli 43 e 220 decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973, con la conseguenza che essa
non e' suscettibile dell'incremento del 18% ancorche' inglobata nello
stipendio  in  virtu'  della  previsione  di  cui  all'art.  63  CCNL
2003/2004. (...)". 
    In detti termini  -  sintomaticamente  accomunanti  l'art.  43  e
l'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica  n.  1092  del
1973 (poiche' di ratio identica) - si e' espressa la sentenza n.  605
dell'11 dicembre 2015 della Sezione prima d'appello della  Corte  dei
conti; in termini del tutto analoghi si sono  sempre  pronunciate  le
decisioni delle Sezioni d'appello della Corte dei  conti  concernenti
le precitate disposizioni (cfr., Sezione 1 d'appello n.  1274  del  2
dicembre 2014; n. 82 del 28 gennaio 2015;  n.  1273  del  2  dicembre
2014; n. 1077 del 15 settembre 2014; n. 1075 del 12  settembre  2014;
n. 323 del 14 maggio 2015; Sezione III d'appello nn. 485, 486  e  488
dell'11 settembre 2014; n. 81 del 28  gennaio  2011;  n.  37  del  16
gennaio 2013 e n. 80 del 31 gennaio 2013). 
    Con riferimento a  detta  giurisprudenza  di  secondo  grado,  e'
appena il caso di richiamare che: 
        le Sezioni di appello pronunciano nella materia pensionistica
unicamente su questioni  di  "diritto",  oltretutto  con  limitazioni
ulteriori  rispetto  allo  stesso  giudizio  di  terzo  grado   della
Cassazione; al riguardo le Sezioni riunite della Corte,  interpellate
in punto di questione di massima, hanno sostenuto che al di  la'  del
nomen  iuris  usato,  con  la  limitazione  dell'impugnazione   della
sentenza di primo grado ai soli motivi di diritto il legislatore  non
ha "inteso dare ingresso, nella materia pensionistica, ad un  vero  e
proprio giudizio d'appello, ma ad  un  giudizio  dai  contenuti  piu'
limitati", assimilabile piuttosto a  quello  davanti  alla  Corte  di
Cassazione (SS.RR. n. 10/QM/1998); ulteriormente le  Sezioni  riunite
hanno  precisato  il  non  poter   trovare   ingresso,   nell'appello
pensionistico, il vizio denunciabile innanzi alla  Suprema  Corte  ex
art.  360,  n.  5,  del  codice  di  procedura   civile,   implicante
l'accertamento e la valutazione dei "fatti" rilevanti ai  fini  della
decisione della controversia, dovendo il Giudice d'appello  limitarsi
alla verifica "della sufficienza della motivazione  medesima  con  le
risultanze probatorie" (SS.RR. n. 10/QM/2000); 
        la costante giurisprudenza delle Sezioni  di  appello,  sopra
richiamata,  inibisce  al  Giudice  di   primo   grado   di   portare
qualsivoglia questione interpretativa dell'art. 220 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092 del  1973  alle  Sezioni  riunite
della Corte dei conti (ai sensi dell'art. 1, comma  7,  decreto-legge
15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio  1994,  n.
19,  come  successivamente  modificato)  atteso  che,   a   fini   di
ammissibilita' dello specifico giudizio, e' richiesta la  sussistenza
di un "contrasto" di giudicati d'appello (c.d. contrasto orizzontale;
cfr., tra le altre, le sentenze n. 5/QM/2004 del 31  marzo  2004,  n.
6/QM/2004 del 27 aprile 2004 e 5/QM/2005 del  3  ottobre  2005  delle
medesime Sezioni riunite della Corte dei conti). 
    A tutto cio' conseguendo, ad avviso di questo Giudice rimettente,
il carattere  di  "norma  vivente"  dell'art.  220  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 -  nei  termini  siccome
interpretati dalla precitata giurisprudenza di  appello  della  Corte
dei conti - che anche ove diversamente applicato in  questo  giudizio
di  primo  grado,  del  tutto  realisticamente   incorrerebbe   nella
differente interpretazione,  ormai  consolidata,  presso  il  Giudice
d'appello. 
    4. Tanto  premesso,  questo  Giudice  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art.  220  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica n. 1092 dei 1973  nella  parte  cui  esclude  dall'importo
dello stipendio, per il quale e' prevista la maggiorazione del 18% ai
fini pensionistici, la quota parte  d'ammontare  pari  alla  ex  voce
retributiva   "indennita'   integrativa    speciale";    segnatamente
configurandosi al riguardo non manifestamente infondate  le  seguenti
prospettazioni della lesione dei parametri 36, 38 Cost. 
    Deve in proposito fondamentalmente osservarsi che: 
        a. sulla base del carattere di specialita' degli  ordinamenti
pensionistici, va sostenuta l'infondatezza  della  tesi  individuante
nella fonte contrattuale disciplinante il rapporto di impiego - e non
nella  normativa  pensionistica  -  il  parametro  sulla   cui   base
classificare ai fini previdenziali un dato emolumento retributivo; 
        b. sotto il profilo pensionistico, l'art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 (norma omologa  all'art.
43 del decreto del Presidente della  Repubblica  n.  1092  del  1973)
trova applicazione con riferimento allo stipendio tabellare  previsto
dai  Contratti  collettivi,  considerato  che  non  puo'   sussistere
possibilita'  alcuna  di   sovrapposizione   delle   due   discipline
(lavoristica  e  pensionistica),  rimanendo  del  tutto  distinte  le
relative sfere  d'incidenza  e  trovando,  le  medesime,  loro  unica
correlazione e contatto  con  la  determinazione  della  retribuzione
(rectius:  stipendio,  per  quanto  qui  in  rilievo)  spettante   al
dipendente al momento della cessazione del servizio; 
        c. a conferma di quanto esposto alla lettera che precede,  va
altresi' qui richiamato che: 
indubitabile risulta, nella materia lavoristica, la legittimazione di
valenza primaria - devoluta alle  specifiche  parti  contraenti  -  a
stabilire la struttura delle retribuzioni nell'ambito del rapporto di
lavoro; 
l'assetto  normativo  previdenziale  non   puo'   prescindere   dalla
definizione  di  retribuzione  convenzionalmente  determinata   dalle
specifiche  parti  contraenti,   anche   sotto   il   profilo   della
determinazione del c.d.  "imponibile  previdenziale"  (cfr.,  tra  le
altre, Cassazione Sezione lavoro 7 dicembre  2004,  n.  22921;  detto
aspetto, qui si osserva, risulta del tutto disatteso  dalle  sentenze
d'appello dal negativo orientamento); 
        d. giusta domanda formulata col ricorso, deve prendersi  atto
che non si vede in tema di maggiorazione dell'I.I.S.  (come  ritenuto
nella  giurisprudenza  delle  Sezioni  d'appello),   ma   di   esatta
determinazione dello "stipendio" da assoggettare  alle  modalita'  di
computo previste dall'art. 220,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 1092 del 1973; 
        e. nel caso all'esame, pertanto,  solo  dalla  trasformazione
dell'intera   I.I.S.   in   "stipendio",   eventualmente    stabilita
nell'ambito  contrattuale,  puo'  discendere  -  per   lo   specifico
personale interessato dall'accordo -  l'irrilevanza  della  normativa
pensionistica espressamente disciplinante l'I.I.S.  quale  emolumento
retributivo autonomo a se' stante. 
    Cio' premesso rileva eminentemente, per lo specifico personale in
questa sede all'esame, che le parti  contraenti,  inequivocabilmente,
hanno inteso sopprimere l'i.i.s. a decorrere dal 1°  gennaio  2003  -
con l'art. 63 del C.C.N.L. delle Attivita' ferroviarie del 16  aprile
2003,  stabilente  che  gli  "importi   minimi   contrattuali"   sono
comprensivi della i.i.s. nonche' dell'E.D.R.  di  cui  al  Procotollo
interconfederale del 31 luglio  1992  -  come  del  resto  comprovato
dall'espressa nota a verbale riportata in calce al medesimo articolo,
secondo cui: "Le parti confermano che le voci retribuitive di cui  al
punto  1.1.  (n.d.r.:  tra  cui  i  minimi  contrattuali  comprensivi
altresi' dell'ex i.i.s.) ed al punto 6  del  presente  articolo  sono
elementi dello "stipendio" ai sensi di quanto previsto dall'art.  220
del T.U. 1092/73 come sostituito dall'art. 22 della  legge  177/76  e
successive modificazioni ed integrazioni. 
    Nel merito, questo Giudice ha gia' avuto modo di precisare che: 
    "I. Non puo'  attribuirsi  "valenza  pensionistica"  alla  stessa
"riserva" attuata  nelle  diverse  sedi  negoziali  (secondo  cui  il
conglobamento nello stipendio tabellare  dell'indennita'  integrativa
speciale non modifica le modalita' di determinazione  della  base  di
calcolo in atto del  trattamento  pensionistico),  anche  per  quanto
dall'INPDAP sostenuto in questo giudizio (vale a dire la specificita'
e la priorita' dell'ordinamento legislativo, nella determinazione dei
trattamenti pensionistici), dovendosi conseguentemente  escludere  la
possibilita'  per  le  parti   contraenti   d'innovare   la   materia
pensionistica,   ditalche'   anche   la   precitata   "riserva"    va
necessariamente   interpretata   entro   i   limiti   della   materia
lavoristica." (rif.: Corte dei conti, Sezione Marche, sentenza n. 249
del 2009). 
    Con i limiti pertanto chiariti, la nota a verbale in argomento  -
relativa all'art. 63 del CCNL delle attivita' ferroviarie - se, da un
lato, non puo' disciplinare vicenda pensionistica alcuna, dall'altro,
assume  comunque  valore  nell'ambito  della   sfera   del   rapporto
lavoristico, risultando in detto ambito inequivocabilmente confermata
e/o esplicata la volonta' delle parti di sopprimere l'i.i.s.  poiche'
confluita,  questa,  nei  cc.dd.  minimi  contrattuali  che,  per  il
personale  destinatario  dello   specifico   contratto,   altro   non
rappresentano che elementi dello "stipendio" di cui agli articoli  43
e 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973. 
    Conseguentemente: 
        f.  ai  fini  delle  determinazioni  pensionistiche,   nessun
rilievo giuridico assume - per la specifica tipologia di personale  -
il dato della provenienza delle somme poi  comprese  nello  stipendio
tabellare (per quanto all'esame: i minimi contrattuali  ex  art.  63,
comma  4,  del  CCNL  in  argomento),  non  potendosi  ammettere   la
sostanziale  disapplicazione  di  normative  lavoristiche  del  tutto
vincolanti sul piano degli effetti; sul punto si  consideri  peraltro
che, secondo il Giudice d'appello, a strettissimo  rigore,  le  parti
contrattuali  neppure  potrebbero  riconoscere  ai   lavoratori   una
maggiore retribuzione in quanto cio', inevitabilmente,  comporterebbe
alla cessazione del servizio una maggiore spesa pensionistica; 
        g. per  contro  il  ritenere,  nei  termini  rivendicati  dal
ricorrente, maggiorabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976   l'intero   ultimo   stipendio   percepito   dal    lavoratore,
comporterebbe un computo della pensione (rectius: della quota A della
pensione) correttamente ricollegato alla dinamica stipendiale, attesa
l'intervenuta soppressione dell'I.I.S. (conseguenza  della  rilevanza
delle pattuizioni negoziali). Trovando  quindi  l'applicazione  della
normativa pensionistica imprescindibile riferimento  nel  trattamento
economico del rapporto di lavoro siccome risultante dalla  disciplina
relativa (legislativa prima, contrattuale oggi). 
    Su detto  specifico  profilo,  la  pregressa  giurisprudenza  del
Giudice delle leggi ha precisato che cio' che ha  contraddistinto  il
ricorso all'art. 36 Cost. - a  mente  del  quale  "Il  lavoratore  ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita'  e  qualita'
del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e  alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa" - e'  l'applicabilita'  dei
contratti collettivi stipulati per le varie categorie  i  quali,  pur
non  avendo  la  natura  di  fonti  normative  efficaci  erga  omnes,
acquistano una sorta di "ultrattivita'" in forza dell'art. 36,  primo
comma,  Cost.,  per  cui  spetta  al  Giudice  far  corrispondere  la
retribuzione "a due fondamentali e diverse esigenze", la prima  delle
quali "si ricollega al rapporto di scambio tra prestatori  d'opera  e
datori di lavoro, considerando la prestazione  di  lavoro  nella  sua
consistenza quantitativa e qualitativa" (rif.: sentenze n. 129 del 13
luglio 1963 e n. 156 del 6 luglio del 1971). 
    Sotto tale aspetto,  pertanto,  costituzionalmente  rilevante  si
appalesa anche il riconoscimento - da parte del datore  di  lavoro  -
d'una determinata retribuzione "minima" direttamente e ordinariamente
correlata  alla  normale  prestazione   lavorativa   del   lavoratore
dipendente. 
    Quanto al principio in base al quale "I lavoratori hanno  diritto
che siano preveduti ed assicurati mezzi necessari adeguati alle  loro
esigenze di vita in  caso  di  infortunio,  malattia,  invalidita'  e
vecchiaia, disoccupazione involontaria", deve quindi constatarsi  che
versandosi  in  tema  di  pensione  ordinaria  -  vale  a   dire   di
"retribuzione differita"  nei  termini  definitivamente  riconosciuti
dalla Corte costituzionale (rif., tra le altre, le  sentenze  n.  116
del 5 giugno 2013 e n. 70 del 30 aprile 2015), applicandosi  pertanto
anche al trattamento pensionistico i criteri di proporzionalita' alla
quantita'  e  alla  qualita'  del  lavoro  prestato  -  il  peculiare
"stralcio"  di  un   importo   stipendiale   dalla   sua   "naturale"
valorizzazione   ai    fini    pensionistici    (nell'ambito    della
determinazione della base pensionabile, ex art. 220 del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973),  in  funzione  di  una
supposta classificabilita' dell'importo medesimo  quale  "indennita'"
(peraltro non piu' esistente  nella  retribuzione),  fondamentalmente
determinerebbe un'irrazionale compressione della pensione (sulla base
del  meno  favorevole  computo  del  trattamento  pensionistico),  in
ragione di uno scostamento non giustificato tra  lo  stipendio  e  la
pensione  stessa,  pertanto  pregiudizievole  della   posizione   del
lavoratore all'atto del suo collocamento a riposo; cio', segnatamente
considerando che l'incremento del 18% all'esame trova giustificazione
nella valorizzazione  forfetaria,  cosi'  attuata,  degli  emolumenti
accessori non direttamente valutabili ai fini di pensione sulla  base
del pregresso ordinamento pensionistico. 
    Con riferimento a  tutto  quanto  sopra  esposto,  peraltro,  non
rilevando le  esigenze  di  contenimento  della  spesa  pensionistica
poiche' gia' salvaguardate nei casi di che trattasi dalle  previsioni
normative del decreto legislativo n. 503 del 1992. 
    Per tutto quanto sopra esposto e motivato, dubita questo  Giudice
unico delle pensioni della legittimita' costituzionale dell'art.  220
del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092  del  1973,  come
modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, nella  parte  in
cui escludente dal beneficio della maggiorazione  del  18%  la  quota
parte  di  stipendio  d'importo  pari  alla   ex   voce   retributiva
"indennita' integrativa speciale", per il prospettato contrasto della
disposizione stessa con i principi sanciti dagli  articoli  36  e  38
Cost. 
    5. Ritiene quindi questo Giudicante  di  doversi  astenere  dalla
sollevazione dell'ulteriore questione di legittimita'  costituzionale
indicata nella sentenza non  definitiva  n.  8  del  2016  di  questa
Sezione giurisdizionale - vale a dire quella concernente l'ipotesi di
contrasto,  con  l'art.  3  Cost.,  dell'art.  220  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 1092 del  1973,  nella  parte  in  cui
sempre escludente dallo stipendio assoggettato alla maggiorazione del
18% ai  fini  pensionistici,  l'importo  della  ex  voce  retributiva
"indennita' integrativa speciale" - considerato  che,  a  seguito  di
piu' approfondita disamina della materia, il tertium comparationis al
riguardo individuato (la normativa relativa al personale ex dirigente
Ministeriale di seconda fascia,  per  il  quale  l'adeguamento  dello
stipendio "tabellare" avveniva con provenienza delle somme da risorse
diverse  dall'indennita'   integrativa   speciale;   rif.:   C.C.N.L.
Dirigenza del comparto dei Ministeri -  c.d.  Area  I  -  quadriennio
1998-2001 e primo biennio economico 1998-1999) si appalesa costituire
una disciplina derogatoria rispetto a  una  regola  generale  (quella
concernente  l'assorbimento  dell'indennita'   integrativa   speciale
nell'ambito dello stipendio tabellare dei Dirigenti "pubblici"). 
    6. In definitiva, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni
di  legittimita'  costituzionale,  depongono  i  profili   normativi,
soggettivi,  oggettivi  e  temporali  sopra   indicati   segnatamente
riferiti: 
        all'applicabilita' al concreto trattamento  pensionistico,  a
far data 26 febbraio 2011, nel senso prospettato, dell'art.  220  del
decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  1092  del  1973  come
modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976; 
        al  possesso,  da  parte  del  ricorrente,  alla  data  della
relativa  cessazione  del  servizio,  dei  requisiti   previsti   per
l'ottenimento della pensione di che trattasi. 
    Con riferimento  alla  normativa  precitata  giustificandosi,  in
punto di rilevanza: 
        la  necessaria  applicazione  della  disciplina   legislativa
preindicata al trattamento pensionistico del ricorrente; 
        la costante giurisprudenza  delle  Sezioni  d'appello,  sopra
indicata, concernente  interpretazione  data  sia  all'art.  220  sia
all'omologo art. 43 del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
1092 del 1973, escludente  ogni  possibilita'  di  sottoposizione  di
qualsivoglia questione  interpretativa  delle  stesse  al  competente
organo  di  nomofilachia  di  questa  Corte  dei  conti  (le  Sezioni
riunite). 
    In ordine alla non manifesta infondatezza delle qq.ll.cc. che  in
questa sede si sollevano, deporrebbero le  argomentazioni  svolte  al
capo 4. che precede.